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L’Italia sta diventando un Paese sempre più caro. La spesa al supermercato, le bollette della luce, la benzina, i vestiti, mangiare fuori: tutto costa di più. C’è una cosa che però non sta crescendo: i nostri stipendi. Anzi, i salari sono addirittura diminuiti.
Secondo un’analisi basata sui dati OCSE, l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea in cui, negli ultimi 30 anni, il salario medio dei lavoratori è sceso anziché aumentare. Tra il 1990 e il 2020, nel nostro Paese si è registrato un calo del salario medio del -2,9% a 32.740 euro lordi annui. Nello stesso periodo i salari nell’Area OCSE sono aumentati del +33,1%.
Ma perché gli stipendi restano bassi? Il problema è complesso e la risposta dipende da vari fattori, spesso intrecciati fra loro. Un elemento di rilievo è la scarsa produttività del lavoro.
Ma cos’è la produttività? Il termine indica la quantità totale di beni e servizi, cioè l’input, che i lavoratori producono in un preciso periodo di tempo con determinate risorse. Un esempio potrebbe essere la quantità di giocattoli realizzati da un operaio in un’ora. Immaginiamo che lo standard sia produrne cinque all’ora. Se un giorno, a parità di risorse, se ne producono dieci, vuol dire che l’operaio è stato più produttivo.
Un aumento della produttività, da un lato, contribuisce alla crescita del PIL, dall’altro può influenzare i salari. Se i lavoratori diventano più produttivi, le imprese potrebbero infatti essere disposte a pagare salari più alti. Viceversa, se la produttività non cresce, i salari restano fermi.
Ma la scarsa produttività non è l’unico motivo. La natura del mercato del lavoro, ossia le tipologie di contratto e il rapporto fra domanda e offerta, influenza l’evoluzione dei salari. Allo stesso modo, il tasso di innovazione delle imprese gioca un ruolo cruciale.
Ma quindi, come può fare l’Italia per uscire dal vicolo cieco? Quali politiche applicare per i giovani che si affacciano sul lavoro e per chi ha un impiego da tempo senza veder aumentare il proprio salario?
Un ringraziamento speciale a Beniamino Quintieri, Economista e Presidente Fondazione Tor Vergata, per la gentile partecipazione e per la disponibilità
INDICE:
00:00 Intro
00:24 Lo scenario degli stipendi in Italia
03:11 Perché i salari restano bassi
07:11 Mercato del lavoro: riforme e conseguenze
12:08 La ricetta per la crescita
FONTI:
OCSE
Openpolis
INAPP
Autore: Martina Ferraro
Revisione Testo: Livio Sollo
Montaggio: Daniele Ponzi, Dario Bozzi
Coordinamento: Edoardo Scirè
#StartingFinance #Finanza #Economia
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@MarcoNeroMonti
Fra l' altro, si deve:
1) investire (molto di più) in ricerca scientifica e rendere le università a passo coi tempi (senza bisogno di costosi "master" post laurea vari – talvolta utili solo al guadagno dei soliti privati – per essere assunti da aziende all' avanguardia);
2) decurtare gli stipendi faraonici dei top manager (tipicamente incapaci almeno quanto i loro amici politici, salvo rare eccezioni), che preferiscono assumere uno stagista pagandolo pochi spiccioli – onde renderlo maggiormente disposto all' obbedienza cieca – piuttosto che motivare un impiegato produttivo di alto livello, aumentandogli lo stipendio, ma rischiando varie rivoluzioni a danno degli inetti, oltre che essere sostituiti da lui – ecco perché la meritocrazia non è ben vista dal potere – meglio obbligarlo ad emigrare);
3) tagliare i finanziamenti agli enti inutili, le pensioni stratosferiche e obbligare i percettori "precoci" delle minori (che non hanno – quasi – mai versato contributi) a collaborare e/o formare i neo assunti (almeno se lo guadagnino in vecchiaia il pane), purché non siano altri parassiti raccomandati dalle mafie locali (aumentare l' organico delle forze dell' ordine e l' incisività dei magistrati – a patto che chi sbaglia paghi – invece di diminuirla com' è d' uso attualmente);
4) aumentare le tasse (patrimoniali, sui redditi ecc) in maniera opportunamente progressiva (specialmente) ai più ricchi, ma riscuotendo (da questi ultimi – onde evitare le loro speculazioni – ai più poveri) una percentuale crescente sotto forma di titoli di stato prima decennali, quinquennali e così via.